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Bartok e la musica popolare

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  • 07 Jun. 2025
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Bartok e la musica popolare

​[Ogni anno mi trovo in Irpinia, zona montuosa al confine tra Campania e Puglia. Ero ancora giovane quando ascoltai per la prima volta un contadino, vicino dei miei nonni, cantare un lamento stranissimo, dal sapore arabeggiante, lontano dal lirismo italiano. Ogni anno tendo il mio orecchio alla ricerca di quella melodia arcana, domandandomi stupito come abbia fatto ad arrivare in un posto così lontano e presso un popolo così 'aspro'.]

La vita del musicista ungherese Bartók (1881-1945) e lo sviluppo dell'etnomusicologia sono legati da una indissolubile simbiosi.

Bartók, attraverso i suoi viaggi di ricerca sulla musica popolare, trovò, in compagnia del suo immancabile materiale di registrazione (fonografo di Edison e dischi di cera), momenti di rifugio e quiete alla sua vita, una vita che dovette affrontare una non felice convivenza con la prima moglie (1911-1918), l'inasprirsi dei regimi nazionalistici europei negli anni Trenta, nonché il triste esilio volontario negli USA (1940-1945).

Ai musicologi che lo criticavano per la fatica e il tempo che tali ricerche rubavano al Bartók compositore e musicista, egli rispondeva: “posso dire che il tempo impiegato in questo genere di lavoro è il più bello della mia vita e non lo cambierei con nessun'altra cosa al mondo.”

Questa incessante ricerca bartókkiana fu uno degli elementi più importanti per lo sviluppo della neonata etnomusicologia. Lo dimostrano sia le commissioni ricevute da Turchia ed USA per lo studio della musica popolare del proprio paese, sia le cuocenti critiche mosse dal fervore nazionalista di quei tempi che lo accusarono di non portare avanti la 'causa ungherese', perdendosi nell’esplorazione della musica di altri popoli.

In verità l’impulso a tale ricerca sulle melodie popolari scaturì in Bartók da un deciso nazionalismo e dalla conseguente voglia di fondare una 'musica ungherese colta' che non fosse legata a quella occidentale tedesca o italiana. Ma tale ricerca, andando sempre più nello specifico, portò Bartók a studiare non solo melodie ungheresi, ma anche slovacche, romene, slave, ucraine, bulgare, serbe, turche, arabe (Algeria), degli indiani d'America, fino a che egli si innamorò solo ed unicamente della Musica, della Cultura e più in generale della vita contadina di ogni luogo.

La musica popolare per Bartók era “espressione istintiva della sensibilità musicale di un paese” e la si poteva dunque trovare esclusivamente nei sempre più scarsi villaggi completamente isolati dall'esterno. Per Bartók l'istinto primordiale degli uomini e la vita del villaggio (nascite, matrimoni, feste religiose, funerali, mietitura...) avevano creato melodie di una semplicità primordiale profonda, priva di scorie, in una parola 'vere'.

Tali melodie non possono non recare antichi influssi di altri luoghi, ma gli uomini di ogni villaggio li hanno poi lentamente digeriti partorendo nuove melodie, che ritrovavano una nuova profondità di espressione 'primordiale'. [Ethnomusicologist Frances Densmore recording Blackfoot chief Mountain Chief (1916)] Nel catalogare la musica ungherese infatti Bartók specifica che le melodie si basavano alternativamente su modi ecclesiastici medievali oppure su modi greci antichi o addirittura su modi ancor più primitivi (pentatonici, come quelli cinesi, per intendersi), ma mai si rifacevano ai più recenti modi 'maggiore' e 'minore' imposti dalla cultura colta dell'Europa Occidentale.

Per Bartók la semplicità (= purezza) della musica di villaggi isolati nulla ha da spartire con la semplicità (= banalità) di quella che viene erroneamente denominata 'musica popolare' e che Bartók definirebbe invece come 'musica popolaresca' composta sì in stile popolare ma 'corrotta' dalle armonie 'occidentali'. (Per capirsi: oggi Bartók non darebbe il valore di una 'tamurriata' o di una 'pizzica della taranta' ad un brano di Pino Daniele o di Mino Reitano.)

La più importante e sorprendente scoperta di Bartók è che le similitudini tra le musiche di villaggi distanti anche migliaia di chilometri, che per più secoli non hanno avuto alcun contatto, sono forti: lo stesso stile declamato, gli stessi 'modi' antichi, le stesse strutture ritmiche... Un esempio esemplare è quello del Cântec Lung, una sorta di lamentazione discendente, una melodia di cui, ovunque Bartók abbia indagato la musica popolare (e perché no pure in Irpinia!), ha riscontrato ben poche differenze tra paese e paese,.

Attraverso i suoi studi Bartók ha di fatto appresa una nuova 'lingua madre' basata sulla musica popolare ungherese. Il 19 Luglio a Villa Campestri si potranno ascoltare alcuni suoi duetti, nei quali le melodie popolari, pur se trattate con un linguaggio moderno, politonale, lontano dall'originale, hanno magicamente conservato il loro spirito profondo. Ciò, non è cosa facile! Se ascoltate una Danza Ungherese di Brahms, una Polonnaise di Liszt, una Marcia Russa di Ciaikovsky noterete che a parte un superficiale 'colore' popolaresco hanno vitalità completamente propria che ricalca piuttosto l'impronta e la personalità dei loro compositori.


Stefano Zanobini​

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